Valerio Varesi, autore di thriller italiano e ospite de Il gabbiano mascherato: “La Bretagna mi incanta” – Pont-l’Abbé

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Il soprannome di “Semenon italiano” ti si addice? Megret ha ispirato il Commissario Sauneri?

Sono orgoglioso di questo paragone, perché Simeone è per me uno dei più grandi scrittori del Novecento. Anche avere una piccola parte in comune con lui mi riempie di gioia. Ma il personaggio di Soneri nasce da un vero commissario che ho conosciuto nei miei primi anni da giornalista.

Chi sono i thriller che ti hanno influenzato?

Mi ritrovo particolarmente negli scrittori che usano il romanzo come strumento per indagare la nostra società. In Italia Sciascia e Scerbanenco, in Francia Izzo, Manchette e Carrère, negli Stati Uniti Hammett e Chandler. Tuttavia, è stata forse la scuola francese che mi ha influenzato di più.

“Sono un meditatore costretto ad agire.” Ti ritrovi in ​​questa auto-descrizione di Soneri?

decisamente. Come lui, sono una persona che osserva e riflette sulla realtà in maniera induttiva. Mi permette di avere un’idea di come è cambiato il mondo. Soneri continua allo stesso modo a risolvere le cause legali. Ma quando i pensatori tendono ad accontentarsi delle loro conclusioni, il suo senso di responsabilità lo spinge a prendere decisioni e ad agire.

La prelibatezza della tavola e della carne sono la sua principale consolazione. Nessuna salvezza al di fuori di loro?

No, è ancora convinto che il mondo può cambiare in meglio e che il male va combattuto. Ma comprende anche che l’umanità non può essere recuperata in parte, come ci mostra la recente guerra in Europa. Supponiamo che sia un pessimista che non ha perso la speranza.

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Ho studiato filosofia e tu eri un giornalista, quindi perché sei diventato uno scrittore?

Perché penso che non si possa dire tutto con gli strumenti del giornalismo vincolati dall’obbligo di provare ciò che diciamo e dai vincoli della giustizia. Con una storia di fantasia, puoi raccontare cosa c’è ma non può essere dimostrato. Inoltre, la letteratura va dritta al cuore, mentre la filosofia mira a convincere la mente.

La tua scelta di scrivere i thriller d’azione impegnati degli anni ’90 è stata influenzata dalle operazioni Mani Pulite e dagli anni di Berlusconi?

No, anche se l’epidemia di corruzione mi ha colpito. Ma lo scrittore è colui che osserva la realtà e, in armonia con il noir inteso come romanzo sociale, il suo compito è mostrare al lettore i meccanismi psicologici che producono queste situazioni.

Il compito dello scrittore è mostrare la sofferenza di chi non può.

L’Italia che descrivi è in pessime condizioni: corruzione, bufale, degrado ambientale, declino economico e sociale, anche il clima sembra essere in pessime condizioni. È davvero buio?

È una metafora parziale, ma non è solo una metafora dell’Italia. Se penso a quello che sta succedendo negli Stati Uniti o nell’Est Europa, penso che l’Italia non sia nel peggior mondo possibile. C’è un paese che lavora e produce, anche nella sua relativa ricchezza, e un altro che soffre molto, soprattutto al sud. Ma il mondo costruito sul liberalismo economico è destinato ad ampliare le differenze tra le persone, con alcuni che diventano più ricchi e molti più poveri. Il compito dello scrittore è mostrare la sofferenza di chi non può.

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Qual è la tua visione per Francia e Bretagna?

La Francia è la mia seconda casa, sono molto felice qui e ho imparato il francese elementare che spero migliorerà ancora. La Bretagna mi affascina, perché è una regione specifica come le regioni italiane, e ognuna ha le sue peculiarità.

Pratica

Domenica 5 giugno, ore 15, nella Sala Cap Caval di Penmarch, incontro con Valerio Varesi, sul tema “Territorio e politica al centro del crimine fittizio”.

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