Django, un mitico spaghetti western | Le MagduCine

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Breve ritorno a django, Seminario, di Sergio Corbucci. La pasta occidentale è diventata simbolica, cosa che ha colpito soprattutto Quentin Tarantino.

Apertura django Caratterizzato dalla tensione: durante una lunga ripresa successiva, lo spettatore nota un uomo che trascina una bara meccanica nel fango, immagini esauste intarsiate di musiche orecchiabili. Una brutta miniaturizzazione intenzionale permea la scena raccontando il percorso intrapreso da questa estenuante silhouette. In questo sudicio luogo attraversato senza passare da Django, il regista italiano Sergio Corbucci aggiungerà subito l’omicidio di una prostituta catturata da banditi messicani, poi minacciata dalla sciarpa rossa del maggiore Jackson, ex ufficiale della Confederazione. “Animali selvatici che domiamo con una frusta”Il primo offre sorrisi carnivori sulle labbra, prima che il secondo li filtri e non osi imitarli. Già l’asprezza in superficie, i dialoghi esplosivi e i giochi di sguardi, confinati in una cornice limitata, producono i loro effetti. Django passa, interviene e salva Maria, che subito la porta nel salotto di un villaggio deserto, spazzato dal vento e anche intriso di fango denso. La sciarpa rossa risucchiata dalle sabbie mobili dopo gli scontri che hanno presieduto il loro incontro è un programma altamente automatizzato: l’uomo nella bara e la puttana suoneranno la campana a morto per queste bande organizzate che governano il posatoio vicino al confine messicano.

Quando sono arrivati ​​al salone, il tempo sembrava essersi fermato. “Non può restare qui.” Il preside Nathaniel sa che il suo stabilimento, situato su un terreno neutrale, non può ospitare una donna odiata che litiga per due clan rivali senza mettersi in una posizione precaria. Mentre Jackson si esercita a sparare ai messicani – uno spettacolo davvero indescrivibile – Franco Nero è ritratto in un modo che porta il suo personaggio in una nuova dimensione. Un cappello avvitato in testa a volte gli oscura il viso, sguardo penetrante, primo piano creativo, questo cowboy “coraggioso o sconsiderato” chi fornisce protezione “una puttana venduta ai messicani” E a chi aspira “Elimina i fanatici e i banditi per il bene di tutti”. Sembrava non temere niente e nessuno. Sergio Corbucci lo mostra mentre estrae un fucile mitragliatore dalla sua bara, aspettando pazientemente decine di nemici nel fango, nascondendosi a malapena da un albero sradicato, e poi annienta le forze di Jackson, lasciate in vita nella prima sparatoria del saloon, usando l’effetto sorpresa. “I cimiteri sono un buon investimento in questo Paese”, commenta come se fosse introspettivo. In un film struggente, cinico e pessimista, alleanze e loro capovolgimenti (con americani e messicani), sequenze traumatiche (mani infrante, orecchie mozzate e poi ingoiate a fatica, ecc.), relazioni impossibili (“L’amore l’ho lasciato e sepolto per sempre”) si susseguiranno con forza e crolli, spesso ricoperti dall’eleganza di una tomba. Se Sergio Corbucci ha costruito la sua storia così com’era (non esageriamo), il tono del suo film, che gli è valso la squalifica nel Regno Unito fino al 1993, è preconcetto dalla sequenza di apertura e stabilito dall’inizio alla fine: eccolo is Bikinba, Leon, Kurosawa in Questo capolavoro, è meravigliosamente ambientato sulla musica di Luis Enriquez Bacalof.

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scheda tecnica

Direttore: Sergio Corbucci, coadiuvato da Ruggiero Deodato
Sceneggiatura: Sergio Corbucci, Bruno Corbucci, Jose Gutierrez Meso, Franco Rossetti e Piero Vivarelli
Produttore: Manolo Bolognini e Sergio Corbucci
Società di produzione: BRC Produzione Srl & Tecisa
Musica: Luis Bacalov – Franco Migliacci (Parole)
Fotografia: Enzo Barboni
Montaggio: Nino Paragli – Sergio Montanari
Distributori: BRC Produzione (Italia) – Tecisa (Spagna)
Formato: Eastmancolor – mono صوت
Durata: 90 minuti

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