La “confessione del commissario di polizia al pubblico ministero” è una lotta spietata nel cuore della giustizia

La “confessione del commissario di polizia al pubblico ministero” è una lotta spietata nel cuore della giustizia

Damiano Damiani (1922-2013) è un personaggio cinematografico italiano poco conosciuto in Francia, probabilmente a causa della situazione rimasta incerta tra cinema d’autore e cinema commerciale. Inizialmente regista di documentari, si è dedicato alla narrativa dal 1969 e ha prodotto una trentina di lungometraggi, tra cui Confessioni di un commissario di polizia al procuratore generale, realizzato nel 1971, è uno dei più famosi. È giunto il momento in cui questo friulano nativo, come ogni regista italiano che si rispetti, ha incontrato la Sicilia, per girare film mafiosi taglienti lì, in Italia negli anni pionieristici.

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Questo è notevolmente drastico. Due uomini gli si oppongono in una lotta spietata, ma entrambi incarnano il braccio della giustizia, un commissario di polizia e un giudice. Il primo, il commissario Bonavia – attore americano Martin Balsam (Sui marciapiedi ci sono dodici uomini arrabbiati e psicotici) – la disperazione di poter mettere alle strette Ferdinando Lomono, mafioso che si atteggia a promotore immobiliare, la cui complicità politica lo rende intoccabile. Il secondo, interpretato dalla star italiana Franco Nero, è il giudice Trini, un giovane ed elegante giudice del Nord, apparentemente di fede ebraica, onesto ma accecato dalla sua legittimità, incapace di vedere il grado di corruzione dell’istituzione che serve.

Confronto politico e morale

Le loro strade si incrociano quando il guerriero veterano di un criminale, ribellato dagli scherni e dall’impunità del mostro Lomono – un assassino di bambini e un assassino di tutta la vita – decide di liberare un pericoloso psicopatico da un manicomio, ha un antico resoconto di un accordo con il Mafia. Dopo essere stato avvertito da un poliziotto sulla busta paga, quest’ultimo, ancora una volta, scappa dall’attacco che Bonavia ha programmato dietro le quinte. Il giudice è assegnato al caso, e non ci vuole molto a sospettare del commissario. Il confronto tra i due uomini, sia politicamente che moralmente, si rivela tipico dell’aporia plasmata da questo film, tra una legalità che lascia fiorire il crimine e un’illegittimità che rischia di competere con esso.

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Con i suoi corpi modellati con cura nel cemento di edifici costruiti dalla mafia, questo film mette in luce con straordinaria efficienza la corruzione e la sporcizia di un sistema in cui capitalismo e criminalità organizzata si proteggono reciprocamente in virtù del valore che li tiene uniti: il profitto. La sua conoscenza della fisionomia (ognuno ha la propria bocca), il suo nervosismo secco da serie B e le sue brevi visioni dell’orrore aiutano molto. E incuriosirli super per un’opera che potremo scoprire per intero, tra l’11 e il 29 maggio, a cinema francese.

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