Come gli sciatori della squadra olimpica afghana e le loro famiglie sono stati contrabbandati in Italia

Ci è voluta tutta l’ostinazione dell’imprenditore italiano Roberto Paratelli, che vive a Varese, vicino a Milano, perché il 23 agosto la squadra di sci alpino afghano è riuscita a lasciare il Paese, che era sotto il controllo dei talebani. Occidentali nelle vicinanze, atleti e loro parenti sono minacciati di morte. Sostenuti da un ampio movimento di solidarietà, questi 29 afgani sono in attesa dello status di rifugiati e hanno lanciato un appello per ottenere fondi. Per loro le Olimpiadi di Pechino sono finite. Se Syed Alisha Farhang (31) e Sajjad Hussaini (30) rappresentassero l’Afghanistan ai Giochi invernali del 2018, non gareggerebbero in Cina sotto la bandiera afgana nel 2022. Al circuito internazionale del 2016, questi pattinatori olimpici, che hanno partecipato in particolare alla Mondiali di sci alpino 2017 a St Moritz, sono arrivato a Roma il 23 agosto dopo una dolorosa corsa contro il tempo. Entrambi provengono dalla provincia di Bamiyan, un’area diventata famosa 20 anni fa dopo che i talebani distrussero due Buddha scavati nella roccia tra il III e il V secolo. Da allora, è diventato il centro dello sci afgano grazie alla fondazione del Bamiyan Ski Club nel 2011. Solo pochi anni fa Syed e gli sciatori a tappeto sono stati scoperti dopo un viaggio tumultuoso. Da bambini, sono fuggiti con le loro famiglie in Iran per sfuggire alle violenze in Afghanistan. Divenuti giovani, sono tornati nel loro distretto, a Bamiyan, proprio come era stato appena costituito il primo sci club, nel 2011. Come migliaia di candidati esiliati, gli atleti erano tornati, tutti lasciati indietro, molto contenti della loro gestione. Per arrivare a Kabul dove hanno dovuto aspettare tre giorni prima di poter salire su un aereo militare italiano con la moglie Aziza…

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