Aarti Povera È tutto nelle immagini

Aarti Povera È tutto nelle immagini

Inserito il 5 nov 2022 alle 12:00

Uno dei pericoli dell’arte contemporanea che utilizza la performance come mezzo espressivo è l’eccessiva documentazione delle sue azioni transitorie. Successivamente vengono organizzate mostre composte da “monumenti”, foto o video, quasi sempre noiosi, a cui viene dato rispetto religioso. È quello che temevamo dalla nuova mostra al Jeu de Paume, battezzata con un lungo titolo “per rovesciare gli occhi, sull’Arte povera 1960-1975. Fotografia, film, video”. Ma al contrario è pieno di spirito e offre ottime sorprese.

Il movimento Arte povera, teorizzato dall’illustre critico e storico dell’arte Germano Celant (1940-2020), è stato animato in Italia a partire dagli anni Sessanta da artisti, come reazione a una società industriale invadente, espressa attraverso opere apparentemente sobrie, semplici e povere. L’uso di grandi figure dell’arte italiana come Mario Merz, Giuseppe Benoni o Janis Conellis, di foglie, rami o oggetti di uso quotidiano come carbone, vestiti o anche luci elettriche, conferì a questo approccio un aspetto inedito e radicale dell’epoca.

artisti arroganti

Mais de manière prémonitoire, comme le montre le Jeu de Paume, ces attivista et d’autres qu’on découvre ici, ont amplement embrassé leur temps en utilisant l’image comme une autre matière, première prémé puvance la società. A Parigi (1) ciò che viene presentato non corrisponde a documenti ma ad opere reali. Questi artisti sono volgari. E così nel 1961 Piero Manzoni (1933-1963), l’inventore della famosa “merda d’arte” a cui insegnava, immaginava anche una base magica su cui i visitatori venivano invitati a porsi, permettendo loro di trasformarsi spontaneamente in una scultura vivente.

Quando Claudio Parmigiani (classe 1943) fa grandi foto di mucche, devi concentrarti sul mantello dei ruminanti le cui macchie anormali prendono la forma di continenti. Li chiama “Dipinti di zoo geografici”. L’attivista più famoso dell’Arte Povera è Michelangelo Pistoletto (classe 1933) che stampa su specchi immagini a grandezza naturale in cui l’osservatore è parte integrante del tempo della sua osservazione. Insomma, un modo efficace per unire vita e arte. Fabio Mori, (classe 1926), di targa, ha appena stampato un’immagine televisiva che dice: La fine. Il campo dell’interpretazione è ampio. La fine del film è l’inizio di un’altra storia.

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